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Ultimo Aggiornamento: 12/03/2024 17:51
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12/03/2024 17:51
 
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Come mantenere il cervello sano ed efficiente fino a tarda età: che cosa dice la scienza

Come si fa a misurare quanto è tonica la nostra mente? Ecco le buone abitudini e i meccanismi che possono rallentare il declino cognitivo
Come mantenere il cervello sano ed efficiente fino a tarda età: che cosa dice la scienza

Andiamo in palestra per mantenere tonici i nostri muscoli. Andiamo a correre per tenere in esercizio il nostro cuore. Ma come facciamo a misurare la salute del nostro cervello, qual è il livello della sua tonicità e quanto è abile nello svolgere i suoi compiti? I tre compiti essenziali coordinati dal cervello sono:

Funzioni esecutive: capacità di pensiero e ragionamento

Cognizione sociale: l’attività mentale attraverso la quale interagiamo con gli altri

Regolazione emotiva: la consapevolezza delle proprie emozioni e la capacità di regolarle puntando al raggiungimento del benessere

Misurare la salute del cervello

Oggi ancora non esistono metodi diretti per misurare il grado di salute cerebrale e non esistono test di valutazione cognitiva validati a livello mondiale e quindi applicabili a diversi gruppi etnici e diverse culture. Negli Stati Uniti hanno sviluppato “l’orologio cognitivo”, un nuovo indicatore per misurare la salute del cervello che fornisce stime specifiche dell’età cognitiva (migliore dell’età cronologica per valutare la salute del cervello). Nella maggior parte dei casi la comunità scientifica misura la salute cerebrale con tecniche di neuroimaging (e un grosso aiuto è arrivato con la pubblicazione delle prime carte cerebrali umane che offrono modelli strutturali di riferimento del cervello umano in base all’età). «Per misurare la salute del nostro cervello può aiutarci l'elettroencefalogramma - sottolinea Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia - ma anche più accessibili test ematici che rappresentano biomarkers per la salute cerebrale come ad esempio l'insulino resistenza, bassi livelli di vitamina B12 e D e la PCR: l'infiammazione fa male al cervello». Se la ricerca sta ancora lavorando su questi punti, molto di più si sa su come mantenere il cervello in salute: lo stile di vita può contribuire in modo importante al benessere del cervello. Ma attenzione, non esiste una unica soluzione magica, bensì un insieme di comportamenti, i pilastri della salute del cervello, che possono rallentare il declino cognitivo e migliorare lo stato emotivo. «Numerose evidenze indicano che per avere un cervello in salute dovremo iniziare da piccoli e poi continuare per tutta la nostra esistenza e, se vogliamo vivere in salute anche in tarda età, cercare di mantenerci "vitali" e "allenati" anche quando vengono i capelli grigi» suggerisce il presidente della SIN (QUI il programma della SIN per la Settimana del Cervello).

Esercizio fisico

Gli scienziati insistono nel dichiarare guerra alla sedia, spinegndo la popolazione ad adottare uno stile di vita attivo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce di svolgere nel corso della settimana tra i 150 e i 300 minuti di attività fisica ad intensità moderata (circa mezz’ora al giorno di camminata veloce o lavori domestici) oppure tra i 75 e i 150 minuti a settimana di attività vigorosa (quando si pratica non si riesce a parlare). Svolgere un’attività fisica organizzata può tuttavia non essere sufficiente se il resto della giornata lo si trascorre seduti a una scrivania o sdraiati sul divano. Ogni occasione va colta per muoversi: fare le scale invece di prendere l’ascensore, andare al lavoro in bicicletta o a piedi, impegnarsi in giardinaggio o attività domestiche. Per molte persone il pensiero di fare un esercizio fisico intenso è scoraggiante, ma ci sono prove che più è vigoroso il livello dell’attività fisica, maggiori sono i benefici per il cervello.

Ma in che modo l’essere attivi rallenta l’invecchiamento cerebrale?

Numerosi lavori hanno dimostrato che l’attività fisica può modificare le dimensioni e la funzione di diverse aree del cervello. Nelle persone fisicamente attive è stato riscontrato un aumento di volume dell’ippocampo, la struttura cerebrale responsabile dell’apprendimento e della memoria.

L’attività fisica agevola inoltre il rilascio del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale, il Bdnf, una proteina che ha un effetto neuroprotettivo e favorisce la formazione di nuovi neuroni e sinapsi. Nuoto, corsa o ciclismo sembrano stimolare meglio la produzione di cellule nervose (e contrastare l’invecchiamento cerebrale) rispetto ad attività anaerobiche come il sollevamento pesi.

La buona notizia è che il potenziamento cerebrale si estende anche all’età adulta: l’esercizio non solo rallenta il declino cognitivo ma in alcuni casi lo inverte. Si stanno accumulando ricerche in cui si è osservato l’effetto positivo dell’esercizio su malati di Alzheimer, che ottengono risultati migliori nella valutazione della demenza quando svolgono attività aerobica per mezz’ora al giorno rispetto a gruppi che invece svolgono solo lavoro di stretching e tonificazione. I devastanti effetti sulla salute e le capacità mentali del morbo di Alzheimer e di altre demenze possono essere almeno in parte contrastati o rallentati da abitudini di vita sane, e quindi da fattori modificabili.

Con l’età il cervello va incontro a cambiamenti fisiologici: si registra un calo del suo peso di circa il 5% ogni decade (che si accentua dopo i 70 anni). Anche se i neuroni non diminuiscono, è vero che diventano più piccoli, riducono le loro sinapsi e le loro connessioni. Si riduce anche il flusso sanguigno cerebrale, il che porta a una limitata disponibilità di alcuni neurotrasmettitori come dopamina e serotonina, con conseguente declino delle performance cognitive e motorie e diminuita capacità di formazione di nuove cellule nervose. Tuttavia, sembra certo che l’attività fisica, migliorando la circolazione e quindi l’ossigenazione tissutale a livello del cervello possa prevenire lo sviluppo di demenze e di altre malattie neurologiche. «Infine è noto che l'esercizio fisico ha un effetto rilevante nel ridurre l'infiammazione sistemica alla quale vengono attribuiti numerosi effetti negativi correlati all'età, dall'insorgenza di neoplasie allo sviluppo di aterosclerosi» dice Padovani, che è anche direttore della Clinica di Neurologia all’Università di Brescia.

La dieta

Anche la nutrizione ha un ruolo fondamentale per proteggere la salute del cervello. Da una parte l’obesità rappresenta un chiaro fattore di rischio, dall’altra l’alimentazione sana risulta protettiva. Sappiamo che il cibo è carburante, e questo vale soprattutto per il cervello. Nonostante rappresenti solo il 2% del peso corporeo, il cervello rappresenta il 20% del consumo energetico del corpo.

Diversi studi sottolineano che una dieta ricca di frutta, verdura, legumi, pesce, cereali integrali e povera di carne e grassi saturi sia associata a un minor rischio di sviluppare disturbi cerebrali. In particolare, la dieta DASH (che ha il pregio di combattere l’ipertensione con porzioni ridotte e minori quantità di sale ) e la dieta MIND (pensata appositamente per la salute del cervello) rallentano il declino cognitivo migliorando le funzioni cognitive. La dieta MIND Privilegia frutta di stagione, verdure, legumi (prevalentemente fagioli), semi, frutta secca a guscio oleosa (soprattutto noci), olio extravergine d’oliva e cereali integrali, pesce, pollo, pochissima carne rossa, pochissimo formaggio e un grosso limite a tutti i cibi processati.

Nessun alimento da solo agisce come una cura miracolosa (e gli integratori non compensano da soli la mancanza di una dieta equilibrata) ma è la combinazione di diversi tipi di alimenti e sostanze nutritive a determinare benefici per la salute. «È inoltre buona regola evitare pasti copiosi a pranzo e soprattutto cena, quanto piuttosto abituarsi a consumare pasti più frugali, più volte al giorno, alternando colazione, pranzo e cena con spuntini di mezza mattina e mezzo pomeriggio» consiglia Padovani.

Mente attiva per costruire la riserva cognitiva

La salute fisica da sola non basta per mantenere il cervello in salute. Anni di istruzione, essere socialmente attivi, partecipare ad attività cognitivamente stimolanti (come imparare a suonare uno strumento musicale o una lingua straniera nuova, fare cruciverba o sudoku ) può aiutare a ridurre il rischio di demenza e deterioramento cognitivo dovuto all’età. Non sono ancora del tutto chiari i meccanismi sottostanti, ma tutte queste attività contribuiscono a costruire quella che gli scienziati chiamano «riserva cognitiva», ovvero la capacità del cervello di svilupparsi, creare connessioni dinamiche, adattarsi e rimanere flessibile. L’idea di base è che le esperienze che si hanno nel corso della vita, come istruzione, hobby, lavoro, rimodellano il cervello in quello che è chiamata neuroplasticità. Si ritiene che continui cambiamenti nel cervello lo rendano più resistente al declino e alle malattie. Secondo questa teoria, maggiore è la riserva cognitiva di una persona, più è protetta sia dai cambiamenti di memoria legati all’età sia dall’insorgenza di declino cognitivo. Due persone possono avere quantità simili di proteina beta amiloide nel cervello, segno distintivo di Alzheimer, ma chi ha accumulato un’elevata riserva cognitiva nel corso della vita ha meno possibilità di sviluppare demenza. E anche se dovessero sviluppare Alzheimer i loro sintomi saranno meno gravi rispetto a chi ha lo stesso livello di amiloide, ma una riserva cognitiva inferiore. «A conferma di ciò diversi studi hanno suggerito che mantenersi attivi anche con attività lavorative possa avere benefici sul piano della salute del cervello, in particolare se si tratta di lavori stimolanti e piacevoli» sottolinea il neurologo.

Il benessere emotivo

Per mantenere la salute del cervello è importante anche il benessere emotivo, cercando il più possibile esperienze positive. Svolgere attività fisica, mantenere relazioni sociali e avere uno scopo nella vita sono le vie da percorrere con l’obiettivo di praticare il più possibile attività che rendono felici. Sottolinea Padovani: «Vale la pena ricordare un recente studio che ha indagato l’impatto di attività stimolanti in termini sociali e mentali sul rischio di sviluppare un decadimento cognitivo. Lo studio condotto su più di 10.000 individui anziani ha permesso di rilevare che l’impegno culturale degli adulti, in attività creative e in attività mentali, può aiutare a ridurre il rischio di demenza in tarda età».

Dormire bene

Dormire poco e male ha numerosi effetti negativi sulla salute ed espone a un maggior rischio di diabete e malattie cardiache. Sono sempre più numerose le ricerche scientifiche che dimostrano come dormire meno di 7 ore a notte per un lungo tempo può avere effetti negativi anche su memoria, umore, attenzione, capacità decisionale. Non è affatto scontato che chi dorme poco soffrirà di problemi di memoria, tuttavia la carenza cronica di sonno è considerata un fattore di rischio per le demenze e il declino cognitivo, oltre che per diverse condizioni psichiatriche. Circa il 15% dei casi di Alzheimer sarebbero da collegarsi a una cattiva igiene del sonno e si è scoperto che chi dorme poco ha circa il 50% in più di probabilità di soffrire di declino cognitivo.

Come il sonno può rallentare l'invecchiamento del cervello?

Memoria: si ritiene che il sonno sia fondamentale per la formazione della memoria. Durante il sonno avviene il consolidamento e l’archiviazione delle informazioni acquisite durante il giorno. Se il cervello non è adeguatamente riposato è difficile anche recuperare i ricordi.

Sistema glinfatico: mentre dormiamo è al lavoro un sistema di smaltimento dei rifiuti che elimina le tossine che si sono accumulate nel cervello durante la giornata di lavoro. Il sistema glinfatico è stato scoperto solo nel 2012 ed è più attivo quando dormiamo. Mentre dormiano il sistema glinfatico elimina la proteina beta amiloide che si accumula nel cervello anche con anni di anticipo alla manifestazione dei primi sintomi della malattia e anche una sola notte insonne aumenta l’accumulo di questa proteina.

I sonnellini pomeridiani possono essere ristoratori dopo una notte insonne, a patto però che non si raggiunga il sonno profondo (non devono superare i 30 minuti), ma non potranno mai sostituire una notte di buon sonno in termini di benefici per la salute.

Evitare l'isolamento sociale

«Oltre ai disturbi del sonno la solitudine è uno dei principali fattori di precipitazione della salute cerebrale, in particolare quando si invecchia. Sono ormai numerosi gli studi epidemiologici condotti in diversi Paesi che stimano il rischio di sviluppare demenze nelle persone sole superiore al 40% rispetto a persone socialmente integrate» aggiunge Alessandro Padovani. Il risvolto positivo è che una buona rete di supporto sociale e il continuo scambio affettivo e di idee con altre persone possono proteggere nei confronti di questo tipo di disturbi. L’isolamento sociale, sempre più diffuso specie fra gli anziani, può associarsi a una perdita di «materia grigia», la sostanza cerebrale dove hanno sede i corpi dei neuroni. Ma anche chi è molto giovane può sviluppare problemi significativi quando i suoi rapporti sono soltanto virtuali. Un recente studio pubblicato su Neurology, ha indagato anche la correlazione tra alcuni fattori di rischio psicosociali e la demenza. Dai risultati sembrerebbe che l’isolamento sociale in persone con meno di 80 anni comporterebbe un maggiore rischio di demenza.

Attenzione all'udito

«Un altro fattore sottistimato a cui fare attenzione è la sordità che incrementa il rischio di decadimento cognitivo» ricorda Padovani. Da diversi anni la comunità scientifica ha evidenziato un legame tra sordità e Alzheimer. Secondo studi recenti gli anziani con problemi di udito hanno maggiori probabilità di sviluppare l'Alzheimer rispetto a chi ha l'udito nella norma. La perdita di udito può comparire in età avanzata ed è una condizione che può spingere le persone ad isolarsi viste le difficoltà a relazionarsi con gli interlocutori. Meno il cervello viene stimolato , più ci sono possibilità di sviluppare malattie cognitive.

La salute dell'intestino

Negli ultimi anni è emerso in modo chiaro che esiste una connessione tra la flora batterica intestinale e i disturbi dell’umore, l’ansia e la depressione. I meccanismi non sono del tutto chiariti anche se sono stati fatti molti passi avanti. Ad esempio è stato scoperto che la maggior parte dell’ormone serotonina, che ha la funzione di stabilizzare l’umore, è prodotta dall’intestino e non dal cervello. Inoltre molte recenti ricerche hanno messo in relazione il microbiota intestinale con malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer: lo squilibrio tra batteri buoni e cattivi avrebbe un ruolo cruciale nella salute del cervello. Alcuni batteri intestinali avrebbero un ruolo nelle varie forme di demenza. Lattobacilli, Bifidobatterio, Probiotici e Prebiotici contribuiscono a ridurre l’infiammazione nel cervello, rafforzano l’immunità intestinale e rallentano la progressione della neurodegenerazione.

I consigli

«Come abbiamo visto diversi sono i fattori di rischio che influenzano la salute del cervello così come ci sono diverse azioni che possiamo mettere in atto per proteggere la salute cerebrale a tutte le età» conclude Alessandro Padovani, promotore con la Società Italiana di Neurologia del Manifesto Italiano «One Brain, One Health» presentato alla Camera dei Deputati in occasione della Settimana del Cervello. «I giovani devono essere informati sugli effetti dannosi di alcune sostanze quali il fumo e l’alcool; molto c’è da fare per limitare gli effetti dell’inquinamento atmosferico e dei pesticidi, così come quelli derivati da un’alimentazione costituita da un eccesso di carboidrati, grassi animali e carni rosse; in aggiunta a tutto questo l’attività fisica quotidiana, unita ad attività creative e sociali rimangono ad oggi un antidoto per garantire un cervello in salute. Ma non dimentichiamo mai di controllare i fattori di rischio vascolari, così come le vaccinazioni anti-influenzali e quelle nei confronti dell’herpes zoster e del papilloma virus».

Fonte
[Modificato da Amalia 52 12/03/2024 17:52]
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